INTERVISTE

Intervista a Giuseppe Lupo: Riviste e Manifesti. Il Novecento tra letteratura e editoria

Un incontro ricco di stimoli quello con Giuseppe Lupo. Docente di Letteratura Italiana presso l’Università Cattolica di Brescia e critico letterario, ma anche vivace narratore, ci ha illustrato i metodi e gli obiettivi delle sue ricerche e ha espresso considerazioni sul panorama editoriale italiano.

Professor Lupo, il Novecento è stato per definizione “il secolo delle riviste” e gli studi del Centro di Ricerca Letteratura e Cultura dell’Italia Unita dell’Università Cattolica da sempre privilegiano questo ambito di approfondimento. Ultimo contributo in tal senso il suo recente lavoro Il secolo dei manifesti. Programmi e riviste del Novecento, pubblicato dall’editore Aragno alcuni mesi fa, nel quale ha raccolto le dichiarazioni di intenti contenute negli articoli di apertura delle riviste letterarie del Novecento. Come è nato questo progetto e quali ulteriori contributi apporta a quanto fatto finora?

Dunque, per principio gli studi condotti dal Centro di Ricerca si preoccupano non solo di analizzare il singolo testo letterario, ma di inquadrarlo nel contesto più ampio della cultura, delle questioni e della storia delle idee all’interno del quale esso viene prodotto. In quest’ottica si spiega anche l’attenzione dedicata alle riviste, che nel Novecento assurgono a nuova sede del dibattito culturale.

  Per quale motivo ha scelto di riassumere l’intero percorso di vita delle riviste unicamente attraverso il loro manifesto? E qual è stato il criterio di scelta in base al quale ha selezionato le pubblicazioni all’interno del mare magnum  delle riviste novecentesche?

La scelta di raccontare le riviste attraverso i manifesti si giustifica con il significato stesso che il manifesto assume in quanto momento di dichiarazioni di intenti. Sempre attraverso l’insieme di questi editoriali emerge, poi, il ritratto di un secolo, il Novecento, bello, tragico, difficoltoso. Inoltre, essi permettono di compiere un viaggio tra i diversi modelli di intellettuale, figura così mutevole nel corso del secolo! Per quanto riguarda, invece, la selezione delle riviste, ho operato compiendo una “scelta culturale”, una scelta cioè che non tenesse conto solamente delle riviste letterarie ma di tutte quelle che hanno sviluppato un discorso culturale in senso ampio. Questo perché per il Novecento, il secolo del dialogo, non si può parlare tanto di una “letteratura pura” quanto piuttosto di una “letteratura politecnica”, nata dal confronto, a servizio dell’uomo e legata ad un significato etico.

Considerando le numerose recensioni pubblicate sui maggiori quotidiani nazionali, perché ritiene che il suo studio abbia suscitato interesse?

Credo che ciò sia dovuto al fatto che le riviste fino ad oggi siano state affrontate da molti studiosi unicamente in maniera monodirezionale, mentre il mio studio si sviluppa in senso orizzontale, attraverso il confronto di 120 manifesti. Inoltre ogni editoriale è preceduto da una scheda orientativa di tipo storico che, a metà tra testo e paratesto, aiuta il lettore a contestualizzare la rivista e va a delineare una galleria curiosa del Novecento. Emergono, poi, tre temi di fondo che riguardano principalmente il rapporto tra intellettuale e potere – tema senza dubbio dominante, che comprende il binomio cultura e libertà – quello tra intellettuale e realtà – ovvero la definizione di linguaggi, stili e argomenti – e infine l’idea di cultura.

Un’ultima domanda. Partendo dalla sua duplice esperienza di studioso e narratore, come giudica il nostro panorama editoriale?

In senso storico, possiamo dire che prima della seconda guerra mondiale l’editoria italiana fosse ancora artigianale. Solo dal dopoguerra si è affermata un’editoria di stampo capitalistico. Tra gli anni sessanta e gli anni ottanta c’è stata la grande stagione dell’editoria italiana, con autori del calibro di Vittorini, Pavese, Sereni, Calvino, Bassani, Crovi che si occupavano delle scelte editoriali di importanti case editrici. Oggi la situazione è ben diversa. Le case editrici sono delle holding che hanno perso di vista alcuni parametri e prestano maggiore attenzione a interessi economici e bilanci. Nelle case editrici mancano delle teste pensanti; ci sono più ragionieri che intellettuali. Non c’è più coraggio! E questo si ripercuote sui giovani scrittori che vogliono inserirsi in questo contesto e che hanno difficoltà a trovare un editore serio che pubblichi i loro testi. Comunque un buon libro si vende se c’è la cultura della lettura. È un problema pedagogico che riguarda editori e classe politica. Si diventa lettore non si nasce.

A cura di 
Valentina Bolis e Silvia De Bernardin

A cura di LEGE!
  Laboratorio di Editoria Giovani Editori
Facoltà di Lettere e Filosofia Università Cattolica Milano
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