Buzzati e
l’enigma della carrozza
A cura di Paolo Senna
In
occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita
dell’autore di Il deserto dei tartari, nell’inserto culturale
del quotidiano economico nazionale è pubblicato un racconto
che Buzzati scrisse nel 1934 per il “Corriere della sera” e che in
seguito non fu più ripreso nelle raccolte successive.
Paolo
Senna
si è imbattuto nella
Voltata del signor Valerio
in
occasione di alcune ricerche nella Biblioteca dell’Università
Cattolica di Milano.
La
pagina del “Sole”
riproduce l’intero racconto, incentrato su una difficile manovra
compiuta da un auriga esperto, nel cortile di un famoso albergo
milanese: «la disputa acquistò pubblica risonanza nel 1846, allorchè
ne nacque una formale scommessa tra il nobile Poldi Pezzoli e il nobile
Annovazzi […]. Era questo il problema: se fosse possibile, o no, con
un tiro a quattro, compiere un’intera volta nel cortile di un noto
albergo del centro» scelto appositamente per la difficoltà che la sua
conformazione implicava.
Il
racconto è corredato da una serie di schizzi,
di spiegazione delle manovre compiute dall’auriga Carlo Valerio, realizzati
dallo stesso Buzzati, e da una splendida foto dell’autore,
immortalato all’opera con i pennelli.
All’interno
della pagina inoltre, un breve trafiletto ricorda, fra le numerose
iniziative in programma,
l’uscita dell’opera Mondadori dell’Album Buzzati (pp.
394, € 14), a cura di Lorenzo Viganò, corredato con
«fotografie per lo più inedite, provenienti dall’archivio privato
della famiglia» che fanno emergere «un ritratto
completo dello scrittore in tutti i suoi aspetti: amante della
montagna, pittore, giornalista,scrittore, amico di intellettuali e
scrittori. Molte le lettere private, le copertine dei suoi libri, le
rappresentazioni tratte da sue opere che consentono di seguire passo
passo tutta la produzione di Buzzati» sempre
intento a raccontare storie.
Silvia
Santini
(“Il
Sole 24 ore”, 24 settembre 2006 p. 31)
Esame
di coscienza sul mistero di Buzzati.
Un
libro di foto e un saggio rimettono in discussione lo scrittore. Senza
sconti.
A cura di Pier Mario Fasanotti
L’avrebbe
suggerito lui stesso: non create complicazioni, io sono quel che ho
scritto. O perlomeno: inutile scovare ciò che non c’è nelle mie
pagine. Refrattario com’era alle interviste («un tormento»), Dino
Buzzati, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, se ne
fregava dei critici e diceva che il suo unico scopo era quello di «far
commuovere i lettori»: senza proclami, senza ideologie, senza dare
il pur minimo apporto ai dibattiti interpretativi su suoi romanzi e
racconti.
Ed
è per questo che è sempre stato difficile collocarlo qui piuttosto che
là, in un periodo in cui imperversavano il neorealismo, l’impegno
politico e l’oscurità linguistica elevata a profondità del testo. La
prosa di Buzzati è limpida, i suoi riferimenti sono al sogno, agli
incubi, a ciò che (forse) ci aspetterà dopo la morte. E la morte,
camuffata in carnevali inventivi straordinari (anche come pittore), è
la protagonista della sua intera opera.
Nell’Album
Buzzati, appena uscito da Mondadori
(392 pagine, 14, 80 euro) a cura di Lorenzo Viganò, si riporta
giustamente quel che disse Eugenio Montale dell’autore del Deserto
dei Tartari:
«…Dino ha imposto a
tutti un esame di coscienza». Timidissimo, impacciato, silenzioso,
Buzzati stupiva: a cominciare dai colleghi del Corriere della sera che,
all’uscita del suo capolavoro, si chiesero se l’autore fosse davvero
lui, «il Cretinetti». Così lo chiamavano. È il destino di non pochi
scrittori scivolati nelle fauci del giornalismo.
Ma
lui, innamorato delle sue Dolomiti e attratto dalle donne volgari, aveva
come unico scopo «il far qualcosa di buono, di grande». E
indietreggiare dinanzi all’«aurea porta della mediocrità» che
credeva sempre spalancata. Il suo sguardo si rivolgeva allora
all’altrove, che però mai chiamava Dio. Ateo dichiarato, cercò
tuttavia quel consolante ignoto dappertutto. Una documentatissima
indagine sul rapporto tra Buzzati e la religione l’ha fatta Lucia
Bellaspiga con Dio che non esisti ti
prego (Ancora, 212 pagine, 15
euro). Poco prima di morire baciò il crocifisso di suor Beniamina, in
clinica: non una dichiarazione di fede, ma una dolente cortesia: «Vorrei
essere come lei». A Buzzati era bastato un comandamento: l’essere
buoni. «Rimpiango di non avere la fede» ammise. Faceva
coincidere Dio con l’aldilà. Ma tutto era lontano, come il Colombre
del suo racconto: un monstrum con in bocca una perla (la chiave del
mistero?), da inseguire per una vita.
Elisa
Rossi
(“Panorama”,
19 ottobre 2006 p. 273)
|